Riflessione sull’ apprendimento

Image

Descrivete in circa 200 parole il corso d’italiano che state seguendo facendo notare gli obiettivi che speravate di raggiungere, quelli che avete finora raggiunto e quelli che non vi è riuscito di raggiungere. Fate riferimento non solo a contenuti culturali e lessicali, ma anche alla vostra crescita individuale come apprendenti di una lingua straniera.

Da consegnare il 20 maggio.

Prima di cominciare i miei studi d’italiano all’università, desideravo parlare italiano correntemente al termine dei quattro anni del mio percorso didattico. Ma adesso che ho studiato la lingua di Dante per quasi tre anni e mezzo, mi rendo conto di quanto il mio desiderio non fosse altro che una pia illusione. Doppotutto, la cruda verità è che insegnare una lingua straniera non è una passeggiata. Tanto per cominciare, senza una profonda conoscenza della grammatica e del vocabolario di una qualsiasi lingua, nessuno si può far capire. Ma questi non sono abbastanza: una cosa è parlare come un libro stampato, ben altra è saper usare spontaneamente espressioni idiomatiche durante conversazioni.

Naturalmente, immaginavo di poter sviluppare la mia facilità di parola vivendo in Italia. Inoltre, non c’è dubbio che alla fine del mio scambio a Modena l’anno scorso, me la cavavo abbastanza bene. Benché fosse inevitabile che perdessi parte delle capacità acquisite non appena tornato in Nuova Zelanda, sono rimasto a dir poco sorpreso da quanto ho dimenticato nello spazio di un anno. Durante lezioni d’italiano a Auckland, sono spesso incapace di formulare frasi semplici. Anche se voglio esprimere un’idea, ogni tanto c’è una sorta di ostacolo psicologico che mi impedisce di farlo. La mia timidezza innata fa sì che quando parlo italiano in classe, io sia ipersensibile a tutti i biasimi (nonostante il mio italiano non sia mai stato criticato). Inoltre, siccome sono afflitto da un brutto caso di perfezionismo, le mie attese tendono ad essere irraggiungibili. Perciò, ogni frase che esce dalla mia bocca dev’essere eccellente.

Naturalmente, questa mentalità assurda conduce solo ad un’autoinflitta frustrazione. Ogni volta che parlo una lingua straniera, mi sento ansioso, quasi come se fossi un velocista che teme di inciampare alla linea di partenza di una corsa veloce (praticavo atletica leggera quando ero giovane). Anche se è normale fare errori, sento di deludere me stesso in qualche modo, come se non fossi così bravo in italiano come lo avevo immaginato.

La colpa è forse solo mia. Per esprimersi bene in una qualsiasi lingua, parlarla regolarmente è un must. Comunque, ammetto di essere colpevole di non praticare il dialetto fiorentino tanto spesso quanto dovrei. Siccome avevo tanti compiti per gli altri miei corsi, non riuscivo mai a trovare abbastanza tempo per provare la pronuncia di parole italiane. Se voglio raggiungere una tale padronanza nella lingua parlata, la pratica è l’unica soluzione. Se parlassi italiano più spesso, è probabile – se non sicuro – che potrei provare la gioia semplice di parlare una nuova lingua.

Guardando ai lati positivi, però, ho imparato parecchie cose studiando Italian 300. Il discorso del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che dovevamo ascoltare mi ha insegnato nuove parole ed espressioni raffinate. Inoltre, penso di aver migliorato enormemente la mia comprensione orale. Ascoltando l’italiano durante le lezioni e seguendo Con parole mie, un programma di Umberto Broccoli trasmesso su Radio Rai 1, penso di poter capire il maggior numero di italiani senza difficoltà. Inoltre, non c’è dubbio che, quando si tratta dell’italiano scritto, ho raggiunto un livello più elevato. Benché sia vero che scrivendo rifletto più che parlando, se potessi praticare il mio italiano parlato nello stesso modo che pratico quello scritto, non avrei di che lamentarmi.

Leave a comment